Dalla pattuglia nazionale gpn
Questi drammatici giorni ci hanno violentemente proiettato dentro un sentire la guerra come qualcosa di palpabile, qualcosa che entra nelle nostre vite e che ci invita a porci domande profonde.
Siamo una generazione fortunata, le nostre conoscenze di guerra sono perlopiù collegate a letture di pagine di storia o al massimo tramite racconti di nonni e parenti.
Cosa ha questa guerra di diverso da tutte le altre guerre attualmente in essere? Forse solo la vicinanza al nostro pacifico vivere? Come potrebbe coinvolgerci? Forse le altre guerre sono sufficientemente lontane da noi per poterci tirare le vesti?
Le pagine dei nostri giornali, di tutti i canali di informazione sono focalizzati (ovviamente) su quanto accade in Ucraina mentre è tristemente scomparso il popolo afgano, per non parlare di quei popoli che pur subendo guerre, morti e distruzione per “lontananza territoriale dall’Europa” e scarso appeal giornalistico non vengono portati alla nostra conoscenza.
Chi sono le vittime oggi? Anzi, chi non è vittima oggi in questo nostro mondo? Bisogna davvero essere nati nella parte peggiore del mondo? Ma qual è allora la parte migliore nel mondo? Siamo di fronte ad una netta divisione tra vittime di serie A e vittime di serie B. Come se un piccolo siriano sia meno meritevole di attenzione e di accoglienza rispetto a un piccolo orfano ucraino. Come se improvvisamente il nostro Mediterraneo non fosse più riempito dalle lacrime di disperazione di quei poveri sciagurati per rincorrere il sogno di una vita migliore.
E adesso tocca a noi, uomini e donne, a cui è stato consegnato dalla storia e da chi ci ha preceduto, il testimone di costruttori di pace. Non possiamo rimanere inermi e indifferenti davanti al declino della politica e dell’umanità. La guerra non risparmia nessuno, non sceglie chi uccidere e chi far vivere. Essa lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato! Noi siamo chiamati a dare voce ai nostri valori di pace e di fratellanza, praticando l’accoglienza, la solidarietà in ogni sua espressione e in ogni luogo, tra qualsiasi razze e credi e, instancabilmente, ripudiando e condannando ogni azione offensiva e distruttiva.
Siamo uomini e donne ai quali viene chiesto di dare espressione e azione ai valori della Costituzione la quale ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
In quanto educatori AGESCI ci impegniamo a formare cittadini del mondo ed operatori di pace, in spirito di evangelica nonviolenza, affinché il dialogo ed il confronto con ciò che è diverso da noi diventi forza promotrice di fratellanza universale; e questo lo dobbiamo fare proprio adesso in questi momenti bui, in cui le pratiche nonviolente, la forza del dialogo, le energie delle diplomazie rischiano di venire sopraffatte da freddi calcoli di mero interesse economico o geo-politico.
Lo stesso Papa Francesco nell’Enciclica Fratelli Tutti, ci chiede di non stancarci di ciò che è buono e di fare del bene. Ci invita a non aspettare che siano i nostri governatori ad agire, sarebbe irresponsabile! Al contrario dobbiamo essere costruttori e generatori di nuovi processi riabilitativi nei confronti della società ferita. Oggi, ancora una volta, siamo chiamati a essere fratelli, ad essere altri buoni samaritani che si fanno carico della sofferenza dei fallimenti dell’umanità.
E dunque immersi in questi silenzi di dolore facciamoci sostenitori di coloro che si vedono la propria vita messa sotto assedio dalla guerra, dalla povertà, dalle ingiustizie e dai pregiudizi. Rompiamo il silenzio assordante con il suono dell’amore che Dio ci ha donato: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”: sporchiamoci le mani in questo mondo, cogliamo la pace che Gesù ci ha donato e doniamola al prossimo, chiunque esso sia nel nome del Signore.
Riuniti tutti, preghiamo per la pace nel mondo, per chi è vittima di perverse logiche di potere, preghiamo perché il nostro “sporcarci le mani in questo mondo” sia profeticamente nonviolento e costruttivo, ma soprattutto preghiamo perché nulla sia sentito troppo lontano da noi non percepire il doloroso grido delle vittime.
Ilaria e Antonio
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